Sull’empatia

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Ho conosciuto un bimbo pisano. Di quelli che quando ride, ride con gli occhi. Che quando è triste, è triste anche col naso. Che quando si arrabbia diventa brutto, che quando è felice lo dice tacendo.

Un bambino con cui divento più bimba anche io, anche se io sono la bimba grande, che vorrebbe proteggerlo per vederlo sempre contento. Che lo sgrida, a volte, perché solo così sa dimostrargli il suo affetto. A volte però divento io la bimba piccola, i ruoli si invertono, e lui capisce che è tempo di diventare bimbo grande, almeno per un po’.

I bambini hanno il dono dell’empatia, quella risonanza con l’altro che poi perdiamo, via via. Fino a quando non ci si scontra con chi non ha perso questo dono prezioso, e allora si inizia a farci più caso. A percepire nell’aria se sarà una buona o una cattiva giornata. A capire da uno sguardo, a parlare con i silenzi. A considerare lenitivo un abbraccio, e a non vergognarsi di chiederne ancora un altro.

I bambini parlano un linguaggio troppo immediato per essere per tutti, troppo delicato per avere la meglio, troppo disarmante per non essere emarginato.

Ma quando trovi un adulto capace di essere ancora un po’ bambino, e che si lascia riconoscere senza timore, è allora che si ritrova un altro tipo di sorriso, un’altra dimensione, un’altra via di umana conciliazione.

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